Imperatori Romani

Vespasiano 69/79

Vicus Phalacrinae (Cittareale), 17 novembre 9

Titus Flavius Vespasianus

Secondo Svetonio era piuttosto tarchiato e il suo volto pareva essere sempre contratto. Figlio di Flavio Sabino, esattore delle tasse, e di Vespasia Polla, apparteneva ad una famiglia di rango equestre. Come uno zio materno e Sabino, suo fratello maggiore, riuscì a divenire senatore. Nel 40 fu nominato pretore. Come comandante militare si distinse in Britannia, dove guadagnò un trionfo e due cariche sacerdotali. Nel 51 fu eletto console e nel 63 divenne proconsole in Africa.

Rischiò molto quando, durante un viaggio in Acaia, al seguito di Nerone, si addormentò durante una performance canora dell’imperatore, malgrado ciò nel 67 ebbe l’incarico di governatore della Giudea, dove dovette domare la prima rivolta degli Ebrei. Alla morte di Nerone riconobbe Galba come imperatore, anche se, nel frattempo, si era alleato, per future mire politiche, con il governatore della Siria, Gaio Licinio Muciano. Quando Vitellio vinse la sua disputa con Otone, i due alleati si schierarono, in un primo momento, dalla sua parte ma poi, con l’appoggio anche di Tiberio Giulio Alessandro, governatore dell’Egitto, e delle sue armate, decisero per l’acclamazione dello stesso Vespasiano come imperatore da parte delle loro legioni.

Muciano si sarebbe dovuto trasferire in Italia con le truppe, mentre Vespasiano avrebbe dovuto controllare i rifornimenti di grano dell’Egitto, fondamentali per Roma. Ben presto anche le legioni danubiane si schierarono a favore di Vespasiano. Marco Antonio Primo, comandante di una di queste in Pannonia, fece marciare i suoi militi verso Roma. Sua fu la vittoria della cosiddetta seconda battaglia di Bedriacum. Il 20 dicembre del 69 Antonio Primo entrò a capo dei suoi in Roma, e Vitellio venne ucciso. Il giorno successivo, Vespasiano venne proclamato imperatore dal senato.

Vespasiano tornò a Roma solo nell’ottobre del 70, lasciando a suo figlio Tito l’incarico di conquistare Gerusalemme. Muciano, pur non condividendo il potere supremo, continuò ad essere un importante consigliere dell’imperatore.

Cardine del potere di Vespasiano era l’esercito, con cui vennero domate sia la rivolta degli Ebrei che l’insurrezione gallo-germanica. Pacificato l’impero, egli stanziò le armate in modo che quelle che avevano appoggiato Vitellio non fossero dislocate in posti chiave. Divise i grandi accampamenti militari renani e danubiani al fine di separare le legioni mentre rese stanziali i soldati per impiegarli in difesa dei territori dove essi stessi risiedevano. Allargò i confini dell’impero con l’annessione degli Agri Decumates tra il Reno e il Danubio e con le conquiste a nord della Britannia. Pur consultando sempre il senato, non restituì all’istituzione il potere decisionale, ma rafforzò la propria autorità riesumando la carica di censore per controllare la composizione dell’assemblea, con il conseguente aumento dei senatori di origine italica o provinciale. Nonostante le finanze prosciugate dalle guerre fratricide, cercò di non tassare eccessivamente le province. Fu infine costretto dalle poche risorse disponibili a imporre nuove tasse (ciò comportò la diffusione di tante storielle, come quella di quando rispose a Tito, che lo aveva criticato per la tassa sulle orine, che il denaro ricavato dalla riscossione di quell’imposta non puzzava).

Morì il 24 giugno del 79 ad Aquae Cutiliae nella sua residenza estiva e sembra che poco prima del trapasso abbia esclamato: “Vae, puto deus fio” ovvero: “Povero me! Credo che stia per diventare un dio!”.

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